E’ tra le frodi più eclatanti e difficili da fronteggiare. Una pratica che consente di eliminare con facilità i difetti degli oli lampanti elevandoli di rango. I rischi di cadere in un incauto acquisto restano. Le indicazioni di Alissa Mattei per capire cosa c’è dietro
Studi scientifici rigorosi con laurea in chimica organica all’Università di Pisa, Alissa Mattei è stata Direttore del settore Ricerca, Sviluppo e Assicurazione Qualità per Carapelli. Nel complesso e fascinoso mondo degli oli di oliva, rappresenta una voce autorevole e di primo piano. Ora si occupa di un agriturismo in Maremma. Con questo articolo ha inizio la sua collaborazione con “Teatro Naturale”.
Quando ho finito, giovane e di buone speranze, l’Università a Pisa, l’approccio all’analisi dell’olio nella mia prima esperienza lavorativa, è stato umile e con l’intento di applicare le mie conoscenze di chimica organica-biologica al prodotto naturale olio che conoscevo poco e nulla.
Devo dire che per il mio temperamento dotato di senso artistico, la chimica non era mai parsa una materia ostica e complessa; era diventata invero, una chiave di lettura della realtà naturale.
Così di fronte all’olio vergine mi sono trovata a studiare un esempio di complessità compositiva che stuzzicava la mia fantasia e la mia ricerca di armonia dell’universo e di applicazione del concetto “caso e necessità” (Jacques Monot [1970], Mondadori, 1970) sviluppato nelle lunghe serate e giornate di discussione con i miei fedeli amici di facoltà.
In questa ricerca degli equilibri naturali, un significato particolare ha la forma nello spazio delle molecole; questo argomento è studiato dalla stereochimica, che costituisce una delle più affascinante materie che riguardano lo studio delle sostanze naturali.
Di conseguenza i vari componenti dell’olio come steroli, acidi grassi, biofenoli, tocoferoli, alcoli, esteri, aldeidi e chetoni, che alla maggior parte delle persone suonano come parole strane ed indecifrabili, in realtà diventano “molecole vive”, con forme peculiari e con una strategia di funzione.
Nei primi anni del mio lavoro, non esisteva un legame stretto tra produzione ed industria olearia, cosicché l’olio era un prodotto slegato dalla sua naturale origine (l’oliva) e come tale veniva studiato.
Solo negli anni ’80 si è cominciato a correlare la qualità del prodotto al frutto oliva, cominciando a valutare le complesse relazione tra albero-frutto-olio: ciò ha aperto un nuovo approccio sistematico all’analisi dell’olio vergine.
All’inizio l’olio era soprattutto trigliceride ed il massimo che si poteva analizzare era la stereoisomeria cis-trans degli acidi grassi e la posizione ed il numero dei doppi legami.
L’attenzione degli studiosi fu rivolta successivamente all’analisi dei componenti dell’insaponificabile, cominciando dagli steroli ed dall’eritrodiolo, seguiti dagli alcoli alifatici e le cere per il riconoscimento della commistione dell’olio di oliva con oli di semi e olio di sansa.
I metodi analitici e le frodi si rincorrevano l’uno dietro l’altro e c’era davvero un fermento incredibile: scoperto un nuovo metodo per smascherare una frode, subito dopo ne veniva escogitata una nuova e così via.
Tra le frodi più eclatanti si deve mettere in evidenza il cosiddetto “deodorato”. Questo è noto da molti anni ed è stata una grande invenzione, nel senso che con un trattamento molto blando ed un gioco da ragazzi, si potevano eliminare i cattivi odori e sapori dell’olio lampante.
Nel ’87 nasceva il controllo organolettico che portò un grande miglioramento nella qualità dell’olio vergine; tuttavia non riuscì a fermare questo tipo di frode in quanto da molti ritenuto un “semplice” miglioramento (upgrading) dell’olio lampantino spagnolo!
I sistemi per individuare e studiare il processo di deodorazione vanno dall’assaggio ai metodi chimico-fisici semplici o complessi.
Attraverso l’assaggio sicuramente per il prodotto puro è relativamente facile l’individuazione, soprattutto se il processo non è stato condotto in condizioni ottimali (il sapore di “cotto” è tipico del trattamento). Tuttavia in miscela, la situazione si fa molto più difficile.
Sul versante dei metodi chimico-fisici, si sono studiati inizialmente i cambiamenti del substrato lipidico; tuttavia , mentre per una deodorazione normale (condotta a 200-240°C sotto vuoto od in corrente di azoto) è facile verificare la presenza di composti di neoformazione, per il deodorato ottenuto con temperature di molto inferiori ( anche sotto 100°C) con impianti moderni con vuoto spinto e minimo tempo di deodorazione, si rischia di non vedere niente.
Di conseguenza è assolutamente difficile determinare la presenza di deodorato specialmente in blend.
Dunque gli isomeri di posizione o “trans” e “coniugati” (via HPLC) non bastavano ad individuare la frode e nemmeno le pirofeofitine e gli 1-2, 1-3 digliceridi; ed oggi neanche gli alchilesteri.
Che dire. Un bravo chimico e con grande esperienza sa valutare un olio solo esaminando il complesso delle analisi, ed alle volte basta un dato marker, anche se rientrante nei limiti di legge, a segnalare qualche situazione anomala.
Certo non è facile tradurre l’esperienza e la sensazione del singolo in un sistema certo e riproducibile.
Il problema “deodorato” che a volte può essere anche “lavato” cioè trattato con soluzioni alcaline per diminuire l’acidità, non è di facile soluzione ed i parametri già indicati precedentemente rischiano di essere solo indici di qualità e non di genuinità.
Ma tant’è, se una azienda imbottigliatrice vuole difendersi comunque da un incauto acquisto può porre in essere capitolati all’acquisto così ben curati e dosati che possono in gran parte escludere la presenza di oli trattati, o per lo meno l’uso in quantità massiccia.
In quest’ottica è auspicabile inserire, insieme ai limiti degli 1,2-digliceridi, delle pirofeofitinee degli alchilesteri, anche quelli dei biofenoli, nella loro composizione completa.
Aggiungo un semplice ed interessante approfondimento, di utilità diagnostica, riguardante l’analisi delle pirofeofitine.
La natura dell’evoluzione naturale dell’olio, legata soprattutto all’ossidazione, produce variazioni analoghe allo stress termico della deodorazione.
Tuttavia esiste un elemento, a mio avviso molto importante e discriminante, che è la relazione tra ossidazione ed insorgenza di pirofeofitine.
Nonostante che i parametri ossidativi ( indice dei perossidi e assorbimento nell’ultravioletto) non siano esaustivi ( meglio utilizzare il metodo analitico con HPLC), consentono di distinguere un olio naturalmente ossidato ( pirofeofitine alte ed k270 alto) da un olio trattato ( pirofeofitine alte e k270 basso).
Per finire, per quanto riguarda la determinazione degli alchilesteri, come per gli altri parametri, è sicuro che ci sia una correlazione tra qualità e valore degli stessi, e dunque in modo indiretto, visto che il deodorato viene ottenuto da oli con difetti organolettici, esisterebbe una relazione con il trattamento di deodorazione.
Ancora ben lontani da individuare un parametro confine tra oli extra vergini e oli deodorati, allo stato attuale, possiamo verosimilmente fare la distinzione tra oli di alta qualità e di bassa qualità e/o presumibilmente trattati.