Nostra inchiesta su un tema assai spinoso e di fondamentale importanza per il futuro del comparto. Riuscirà l’Italia, nel corso del semestre di presidenza europeo, a impostare una seria e credibile organizzazione comune di mercato?
In una fase in cui, dopo studi e riflessioni, durati tre anni sono ricominciate le discussioni e le dispute per emanare la prossima organizzazione comune di mercato per l’olio di oliva, “Teatro Naturale” ha deciso di contribuire al dibattito dando la parola ai protagonisti del comparto: gli olivicoltori e i frantoiani, ma anche i produttori di macchine e l’industria olearia.
Il punto
Sulla base delle ultime indicazioni ed indiscrezioni emerse già nel corso dell’estate e chiarite in settembre sembra che l’attuale budget per il comparto dell’olio di oliva, pari a 2,3 miliardi di euro all’anno, verrà mantenuto.
Gli strumenti e i principi ispiratori di questa riforma sono: disaccoppiamento e semplificazione. Si rafforza l’idea di sostegno condizionato a sicurezza alimentare, salvaguardia ambientale e pratiche agronomiche sostenibili.
Il vero punto cardine però è rappresentato dal disaccoppiamento, valido per produttori con più di 0,3 Ha, che consisterebbe in uno sdoppiamento dell’aiuto: il 60% degli aiuti storici percepiti sarà erogato direttamente dalla Ue al produttore e sarà slegato dalla produzione e subordinato solo a norme di buona pratica agricola. La restante parte sarebbe trattenuta dallo Stato e da questi erogato sulla base del numero di piante o della superficie. In questo modo sarà anche a carico dello Stato l’individuazione di zone di particolare valore e a rischio di abbandono a cui erogare pagamenti addizionali.
Le attuali agenzie di controllo (es. Agecontrol) verrebbero soppresse e il sistema di verifica sarebbe analogo a quello di seminativi e della carne bovina.
Permarrebbe in funzione il sistema di stoccaggio privato e tutti gli strumenti e i progetti riguardo a promozione, tracciabilità, qualità e marketing sarebbero finanziati con i fondi a disposizione dello Stato membro, quel 40% che servirebbe anche a pagare gli olivicoltori sulla base del numero di piante o della superficie olivetata.
Lo sguardo distaccato di un economista al comparto olivicolo
Francesco Leone lavora a Torino per il Ceris, l’Istituto di ricerca sull’impresa e lo sviluppo che fa capo al Consiglio nazionale delle ricerche, per conto del quale ha avviato gli anni scorsi una ricerca, tuttora in essere, riguardante l’Ocm olio di oliva. Sapere in che termini sia possibile affrontare la delicata questione, disponendo di riscontri oggettivi, e non solo di opinioni, è molto importante. Sarebbe in questa fase di attesa del varo della futura Ocm quanto mai utile, ammesso che sia avvertita questa esigenza da coloro che dovrebbero porre in atto la riforma.
L’Ocm nelle sue complessità, dunque, nei suoi aspetti più insidiosi, con le ricadute sul mercato dell’olio di oliva, è ciò che si rende necessario approfondire in tempi brevi e con uno sguardo meno emotivo o dettato dall’occasione. Il problema più evidente della nostra olivicoltura è la frammentazione delle unità produttive, la mancanza soprattutto di un coordinamento e di una progettazione. Con oliveti in gran parte obsoleti, con poche imprese a carattere professionale e con superfici aziendali ridottissime, c’è poco futuro e nessuna competitività.
“Le Moc, le Macro organizzazioni commerciali, potevano porre in qualche modo fine alla frammentazione” spiega Francesco Leone. Con il tempo, tuttavia, si è poi compreso come queste strutture abbiano rappresentato più una strategia per avere dei finanziamenti, certamente utili ai fini della loro realizzazione, ma con il risultato che senza altri fondi, di continuo sostegno, non sono comunque come tali in grado di reggersi. “A cosa serve – afferma Leone – creare una organizzazione quando poi non si mette il capitale?”. Già, bella domanda: perché le strutture associative che dovrebbero rappresentare il mondo della produzione non appaiono in grado di gestire una simile realtà organizzativa?
“Abbiamo iniziato a tastare il polso a quelli che sono i cosiddetti “piccoli produttori” di oli di qualità, con delle interviste che si inseriscono in un progetto più vasto” precisa Leone. “E riguardo agli aiuti dati dall’Ue ai produttori, c’è chi si orienta non più sul criterio delle quantità d’olio prodotte, ma agli aiuti assegnati per pianta o per superficie. Questi chiarimenti sono fondamentali – tiene a precisare Leone – anche perché condizionano fortemente gli indirizzi produttivi e le modalità di intervento”. Ma il comparto olio di oliva, soprattutto nell’ambito degli olivicoltori e frantoiani, registra una posizione arretrata rispetto ad altre filiere analoghe, come ad esempio quella del vino. “Nel settore vitivinicolo – afferma Leone – c’è un approccio diverso con la realtà. Intanto, c’è più cultura tra gli addetti ai lavori. Non una cultura necessariamente libresca, ma semplicemente un respiro culturale che abbia la capacità di guardare avanti. Manca l’aspetto della formazione, certamente meno curato. Sono stati stanziati parecchi fondi dell’Unione europea per promuovere l’aspetto della formazione, ma qual è stata finora la ricaduta?”.
Le aziende olivicole sono perciò piuttosto deboli. E questo nonostante si registri nel medesimo tempo un salto in avanti di grande portata, una sincera opera di coscientizzazione riguardo all’importanza del comparto olio di oliva che sta assumendo ovunque nel mondo, anche a seguito della notevole crescita dei consumi nei Paesi non tradizionalmente consumatori. Eppure, come lo stesso Leone riconosce, sembra che vi sia ancora una scarsa cultura, di una cultura, come detto, non libresca, ma semplicemente di una ‘cultura del fare’. “Il piccolo olivicoltore, in particolare, non sa come muoversi, non sa come scegliere il percorso da seguire, non è ancora in grado di ‘leggere’ il mercato. Un consiglio, peraltro, non è neppure facile da dare, non c’è una ricetta magica e risolutrice. Occorre spendersi un po’ di più”. Ovvero, occorre che si acquisiscano le vesti dell’imprenditore, non più del semplice agricoltore, di chi sa produrre un buon olio e non sa poi venderlo, ma soprattutto pianificare la propria realtà produttiva. E’ necessario compiere un salto di qualità, fare un passo ulteriore, lo stesso compiuto anni fa dalle aziende vitivinicole, con grande successo di riscontri oltretutto. La Spagna, con le sue strutture produttive, ha sicuramente dato un segno di grande saggezza operativa, da noi purtroppo non si riesce ancora a organizzare l’offerta, a non inflazionarla”.
Quali strade si possono dunque percorrere in una situazione così incerta e contraddittoria? Quali soluzioni sono possibili? Probabilmente lo studio e la chiara definizione delle reali esigenze del comparto possono offrire degli ottimi spunti per il cambiamento. Non è certo possibile immaginare da una parte il grande momento favorevole per l’olio di oliva e dall’altra, invece, il venir meno di questa ghiotta opportunità. E’ necessario che si faccia una politica a favore dell’olivicoltura in tempi brevi, che si studi e si analizzi il comparto in maniera approfondita, tenendo oltretutto nella debita considerazione anche le esigenze della base, troppo spesso lasciata a se stessa e mai rappresentata a dovere.
La parola ai protagonisti
Alissa Mattei è direttore ricerca e sviluppo della Carapelli S.p.a.
Lamberto Baccioni è manager di Alfa Laval Olive Oil Italia S.p.a.
Vincenzo Zerilli rappresentante dell’Oleificio Colicchia Michele e figli di Marsala, in Sicilia.
Mena Aloia, è titolare del Azienda olearia Aloia e di un’azienda olivicola a Collotorto, in provincia di Campobasso, nel Molise.
Giuseppe Di Vincenzo, olivicoltore, titolare dell’azienda agricola Mandranova a Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, in Sicilia.
Ranieri Filo della Torre è direttore dell’Unione Nazionale tra le Associazioni dei Produttori Olivicoli (Unaprol).
Punti di forza e di debolezza dell’attuale ocm?
Alissa Mattei: “Vedo con estremo favore tutte le iniziative, regolamenti e norme che favoriscano la conoscenza dell’olio extravergine d’oliva sia all’interno dell’Unione Europea sia nel resto del mondo. Tuttavia il sistema di aiuto, così come concepito oggi, svincolato dal concetto di qualità e di rispetto dell’ambiente non si confa sicuramente più al mercato, ormai maturo, degli oli d’oliva. Laddove esistono aiuti economici comunitari o nazionali trovano anche spazio truffatori e malfattori, l’unica soluzione efficace per impedire raggiri è eliminare il sistema di sostegno alla produzione.”
Lamberto Baccioni: “Premetto che, secondo me, qualunque finanziamento dovrebbe essere finalizzato. Inoltre credo che sia terminato il tempo degli aiuti a pioggia distribuiti a un settore solo perché considerato meritevole di sovvenzioni. Se il sostegno a un comparto diviene finalizzato, allora si può discutere sia di modalità sia di pro e contro di metodi e procedure che superino i limiti e i difetti dell’attuale ocm. Il mercato dell’olio di oliva ormai è maturo, ha superato la fase della sussistenza e deve rispondere alle esigenze dei consumatori. Il primo punto deve essere allora la qualità, i finanziamenti devono allora incentivare a produrre qualità in modo da evitare uno dei classici malanni del sistema agricolo: produrre solo per produrre, ottenendo reddito esclusivamente da un aiuto comunitario e non dal libero mercato. Inoltre la difficoltà oggettiva dei controlli rischia anche di favorire il finanziamento di frodi e malaffari, quindi il sistema di aiuto deve essere il più difendibile possibile. Ormai, dagli anni 80, è stato sperimentato di tutto, ma non si è riusciti a bloccare le frodi, a ogni regola si trova una scappatoia, rendendo di fatto impossibile l’attività agli onesti, senza per questo fermare truffe e raggiri. Quindi, in sintesi, i due punti di debolezza strategici dell’attuale ocm sono un sistema di aiuto non finalizzato e reso inefficace da processi di controllo che non possono funzionare.”
Vincenzo Zerilli: “Sarebbe interessante poter trasferire l’aiuto comunitario da sostegno alla produzione a un sostegno a pianta. Questo, tra le altre cose, permetterebbe uno sgravio enorme di lavoro e procedure attualmente a carico del frantoiano che è, a tutti gli effetti, un controllore non retribuito. Inoltre l’attuale regime tiene in alta considerazione tanto il piccolo o piccolissimo produttore quanto quello più grande e strutturato che cerca di aggiornarsi ed investire sia dal punto di vista tecnico sia tecnologico.”
Mena Aloia: “Tra i punti di forza considero il mantenimento in essere dell’aiuto alla produzione, perché semplifica molto e nel medesimo tempo facilita l’operato degli olivicoltori all’interno di un mercato dal non facile approccio; lo facilita soprattutto ora che è stato abolito l’aiuto al consumo; anche se, va detto, la burocrazia resta purtroppo a carico solo del frantoiano, senza che questi riceva una adeguata contropartita economica a fronte delle tante responsabilità che si accolla. Altro punto di forza sono le azioni di informazione volte a promuovere il consumo dell’olio di oliva, che possono riguardare l’analisi di mercato, le qualità nutrizionali e i lavori di ricerca. Tra i punti di debolezza inserirei le modifiche, ancora inefficaci e insoddisfacenti, delle nuove classificazioni merceologiche: possono ancora creare disorientamento tra i consumatori; e poi tra i punti deboli inserisco certamente la scarsa attenzione verso le produzioni di qualità: si premiano indistintamente i quantitativi. Ha senso, mi chiedo, estendere gli aiuti anche alle produzioni di lampante? Infine, aggiungo un altro limite: la scarsa attenzione verso le piccole realtà frantoiane.”
Giuseppe Di Vincenzo: “Tra i punti di forza vi metterei il fatto stesso che si premi il mondo della produzione, ma, nel medesimo tempo, il punto di debolezza sta nel fatto che il premio non venga assegnato a una data azienda per quello che fa, che riesce a realizzare di buono. L’olivicoltura italiana è un po’ anomala. Chi produce un quintale di olio non è paragonabile a chi produce quantità maggiori e di buona qualità. Non si premia lo sforzo di quanti migliorano il livello qualitativo e agiscono con professionalità. A parte comunque il fatto che io mi ritengo contrario a qualsiasi forma di contributo, perché le aziende dovrebbero essere in grado di muoversi da sole, senza contributi”.
Ranieri Filo della Torre: “I punti di forza sono: una discreta capacità di monitoraggio del settore attraverso lo schedario olivicolo e il sistema GIS con la possibilità di individuare in maniera precisa sia il numero di piante sia i dati produttivi di ogni singolo areale, ed anche l’introduzione della quota nazionale garantita che assicura l’ammontare complessivo dei contributi per singolo Paese a fronte di vertiginosi aumenti della superficie olivetata di altre nazioni della Ue. Tra i punti di debolezza vanno annoverati i modesti sforzi sul fronte della qualità, solo l’abbassamento dell’acidità a 0,8 e l’obbligo del confezionamento, stanno a testimoniare qualche vago interesse su questo punto. Carenti anche gli aiuti per l’organizzazione di sistemi di commercializzazione sulla falsariga di quelli, funzionali e funzionanti, creati con l’ocm ortofrutta. Inoltre il blocco degli impianti non è certo di stimolo a investimenti nel comparto o a rinnovamenti degli oliveti esistenti ed obsoleti.”
Il punto cardine che vorrebbe inserire nella nuova ocm?
Alissa Mattei: “Dovendo permanere il regime di aiuti li legherei al rispetto dell’ambiente e alla qualità del prodotto, così come proposto nel sistema disaccoppiato proposto recentemente dalla Ue, tuttavia non mi limiterei ad un sostegno, vincolato a parametri rigidi, ad ettaro o a pianta nella misura del 40%, lasciando così un 60% legato, di fatto, allo status quo.”
Lamberto Baccioni: “Sono tre. Trovare degli obiettivi, realistici e in linea con le esigenze del mercato, che gli olivicoltori e i frantoiani possano perseguire e semplificare i sistemi di controllo per renderli più efficaci ed efficienti. Inoltre rispetto dell’ambiente e di certe realtà a valore paesaggistico sono anch’esse condizioni importanti, sono favorevole a che gli oliveti collinari, poco remunerativi e con alti costi di produzione, abbiano un aiuto a pianta o a ettaro coltivato anche solo per il fatto di esistere e di essere mantenuti, tra l’altro in collina gli oli sono tradizionalmente di qualità purchè vengano adottate tecniche agronomiche adeguate.”
Vincenzo Zerilli: “L’aiuto a pianta sarebbe un grande progresso. Inoltre un sistema siffatto permetterebbe e agevolerebbe la distinzione tra un’olivicoltura a funzione produttiva e una a prevalente funzione ambientale e paesaggistica. Entrambe devono essere salvaguardate ma i metodi e le procedure di sostegno devono essere diversificate.”
Mena Aloia: “Un sistema di tracciabilità che permetta al consumatore di sapere sia la provenienza delle olive, sia il luogo di frangitura di ciascun olio presente in commercio.”
Giuseppe Di Vincenzo: “Punterei a premiare quelle aziende che oltre a produrre, trasformano e commercializzano in proprio. Credo che sia opportuno e giusto favorire chi copre tutto il ciclo della filiera. Certo, mi rendo conto di quanto sia difficile far accettare una simile proposta. Ma ritengo che sia giusto dare non solo un premio alla produzione, ma anche, e soprattutto, a chi riesce a dare un valore aggiunto, prevedendo così dei contributi per coloro che producono coprendo possibilmente l’intero ciclo, e in particolare verso quanti commercializzano il proprio olio in bottiglia.”
Ranieri Filo della Torre: “A fronte del successo sul mercato di extravergini di qualità, certificati e Dop o Igp, sarebbe necessario premiare proprio chi opera in queste direzioni. Tuttavia la Commissione Ue sta indirizzandosi più verso sostegni per il rispetto ambientale e paesaggistico piuttosto che occuparsi di mercato ed olio. Risulta necessario ed urgente far chiarezza, ad esempio, sui progetti ed iniziative finanziabili col 40% ritenuto dallo Stato membro. Inoltre ritengo che 10 anni siano una durata eccessiva per la nuova ocm, infatti stiamo fotografando e proiettano nel futuro una situazione italiana in partenza obsoleta, sia a causa dell’elevata età media degli olivicoltori sia per l’estremo frazionamento aziendale.”
Alla luce delle ultime indiscrezioni, crede che la qualità chimico-fisica, sensoriale e nutrizionale sarà salvaguardata dalla nuova ocm?
Alissa Mattei: “Mi auguro proprio di sì. Le tendenze del mercato sono molto chiare, la qualità in tutte le sue forme, analitica, sensoriale e nurizionale, è una condizione strategica per vincere la competizione sul mercato internazionale. Anche Paesi extracomunitari stanno facendo passi avanti enormi e ottenendo buoni extravergini anche grazie alla divulgazione di tecniche agronomiche razionali e ad il miglioramento continuo dei mezzi di estrazione.”
Lamberto Baccioni: “No, non mi pare che ci siano indicazioni in questo senso. Si sta badando molto di più a un riequilibrio dei fondi disponibili nel passato e quelli futuri. L’impressione è che le forze in gioco non hanno il coraggio di affrontare i punti salienti. Il problema per noi italiani diventa allora anche un problema di sopravvivenza, perché ci sono nazioni che si sono e si stanno organizzando per portare sul mercato quantitativi ingenti e di discreta qualità, e quando ci si abitua a un certo tipo di gusto, perché più facilmente reperibile e identificato come di qualità, risulta poi molto più difficile spiegare i pregi di un prodotto che costa anche tre volte tanto.”
Vincenzo Zerilli: “Lo spero vivamente, molto dipenderà anche dalle interpretazioni date al regolamento comunitario e dai limiti di applicabilità della nuova ocm.”
Mena Aloia: “In linea teorica tutto è possibile. Me lo auguro vivamente.”
Giuseppe Di Vincenzo: “Questo non lo so. Me lo auguro. Probabilmente non si farà nulla, a salvaguardia di una qualità globale. Si eserciteranno pressioni perché ciò non avvenga.”
Ranieri Filo della Torre: “Siamo molto preoccupati, se non allarmati per le ultime tendenze emerse sia in sede di Codex Alimentarius sia in altre sedi internazionali. Il 2568/91 tutela la qualità mentre le normative approvate e i progetti di revisione di quelle in vigore prevedono maglie molto più larghe rispetto a quelle attuali. Sembra un controsenso, il mercato premia la qualità e il legislatore intende invece appiattire ed uniformare tutta la produzione. Già, perchè più si aprono le maglie, più i bravi chimici delle raffinerie riusciranno ad aggirare le norme e a moltiplicare le frodi, proponendo sul mercato oli solo etichettati come extravergini, ma che in realtà non saranno tali, creando confusione e incrementando i dubbi dei consumatori.”
Crede davvero che entro la fine dell’anno sarà varata la nuova ocm oli d’oliva?
Alissa Mattei: “Non so proprio. Spero tuttavia di sì, al comparto servono certezze.”
Lamberto Baccioni: “Le aspettative del ministro Alemanno sono ambiziose, molto dipenderà dal tempo che trascorrerà per trovare l’accordo sui punti più complessi. Tuttavia è molto più difficile trattare a livello comunitario o comunque internazionale che non a livello nazionale, perché si tratta di mettere accordo tra gli interessi vitali di molte nazioni che spesso non coincidono. Mi permetto qualche dubbio perché ci sono tensioni molto forti in questo momento sia sul problema della qualità, sia a causa di interessi privati di organizzazioni e rappresentanti che gestiscono, di fatto, i soldi degli aiuti.”
Vincenzo Zerilli: “Ho i miei dubbi, comunque ci spero.”
Mena Aloia: “No, ma lo spero. Credo che tre anni di proroga siano più che sufficienti per effettuare uno studio delle esigenze del settore e del mercato, tenendo oltretutto conto dell’esperienza dei primi anni del regime transitorio.”
Giuseppe Di Vincenzo: “Me lo auguro di cuore. Mettiamoci un sì d’incoraggoamento.”
Ranieri Filo della Torre: “Assolutamente no, anche perchè qualsiasi ocm deve essere ratificata dal Parlamento europeo nel cui calendario è impossibile inserire alcunchè fino al marzo 2004. Quindi, il massimo sperabile è che al prossimo Consiglio europeo di dicembre venga approvata una bozza di intesa politica, il regolamento completo sull’ocm olio di oliva difficilmente sarà varato prima dell’aprile 2004.”
Nota per il lettore. A differenza delle dichiarazioni degli intervistati qui riportate, quelle di Francesco Leone sono mutuate da uno specifico studio curato da Luigi Caricato per le edizioni Unione italiana vini, di prossima pubblicazione.